C’è chi sostiene, infatti, che le onde elettromagnetiche del wi-fi possano causare disturbi come vertigini, mal di testa o anche tumori. Si tratta, insomma, di sintomi analoghi a quelli già da anni attribuiti all’elettrosensibilità, una fantomatica malattia veicolata dalla disinformazione in Rete (nota anche come allergia al wi-fi) che a oggi non ha alcun riscontro scientifico
Come spesso accade che i danni provocati dall’ignoranza siano molto maggiori di quelli che spaventavano inizialmente. Molti genitori sono preoccupati del segnale radio emesso dagli Access Point presenti nelle scuole, che hanno un livello di segnale al di sotto di ogni soglia di pericolo, mentre ignorano completamente i danni derivanti dalle emissioni del telefono cellulare in dotazione ai figli che stando gran parte della giornata in tasca è posizionato a poche centimetri dagli organi riproduttivi dei ragazzi. Oppure vivono in un condominio sede di un ripetitore telefonico la cui potenza è nell’ordine dei 9/15 milioni di volte superiore al Wi-Fi presente nella scuola.

Gli esperti di telecomunicazioni spiegano, però, che le apparecchiature wi-fi operano con onde elettromagnetiche di potenza pari a qualche decina di milliwatt (mW), circa dieci volte di meno rispetto alla potenza emessa da ciascun telefono cellulare. Inoltre, mentre il wi-fi non supera mai i 40mWdi potenza e ha un segnale non continuativo, le onde elettromagnetiche emesse dai diversi telefonini si sommano, generando segnali ancora più potenti. Senza entrare nei dettagli scientifici e medici della questione, anche solo per coerenza e se si volesse applicare fino in fondo questo principio di precauzione, sarebbe necessario obbligare gli alunni, gli insegnanti e tutto il personale scolastico a spegnere gli smartphone, per ottenere una significativa diminuzione della potenza delle onde elettromagnetiche negli ambienti in cui si trovano i ragazzi. E la stessa cosa dovrebbe valere anche in altri luoghi frequentati dai più giovani, come per esempio la bibliotecacomunale e la piazza del paese, per non parlare degli ambienti domestici
Nuove evidenze scientifiche mostrano come il WiFi non sia dannoso per la salute. A cadenza regolare alcuni gruppi di persone continuano ad affermare la loro presunta intolleranza ai campi elettromagnetici. Il disturbo cui viene fatto riferimento si chiama elettroipersensibilità (EHS) ma non esistono evidenze scientifiche che forniscano parametri in grado di dimostrare il rapporto di causa-effetto tra sintomi ed esposizione. Anzi, le conclusioni di tutti gli studi vanno in direzione diametralmente opposta, compresi quelli svolti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Iniziamo con alcune premesse. Ognuno di noi vive in un “mare” di radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti: esse permeano la nostra civiltà e l’inquinamento elettromagnetico, seppur con varie intensità, è diffuso oggi sia nelle aree densamente popolose così come in quelle meno urbanizzate.
È vero, i dispositivi WiFi contribuiscono – loro stessi – all’inquinamento elettromagnetico ma il loro apporto è considerarsi talmente contenuto da essere sostanzialmente insignificante.
Nel caso dei router, degli access point e degli altri dispositivi WiFi le informazioni vengono trasferite usando lunghezze d’onda inferiori a quelle della luce (spettro ottico, visibile): in questi casi non vi sono rischi di alterazione delle molecole che compongono il tessuto del corpo umano (si parla infatti di radiazioni non ionizzanti).

Le potenze in gioco, nel caso del WiFi, sono inoltre davvero contenute: il segnale emesso da un router WiFi o da una scheda wireless installata in un PC è solitamente dell’ordine dei 100 milliwatt, valore che è ampiamente al di sotto della soglia considerabile come potenzialmente pericolosa.
Nel nostro Paese, come in Europa, qualunque privato può allestire un hotspot WiFi a patto di rispettare le potenze massime consentite ovvero 20 dBm EIRP o 100 mW.
Via a via che ci si allontana dal router o dal dispositivo WiFi la potenza del segnale decresce rapidamente: basti pensare che se un router trasmette con una potenza pari a 100 mW (0,1 W), a distanza di due metri si assorbiranno appena 0,025 Watt; a quattro metri 0,00625 Watt e così via.
Quella che viene seguita è infatti la legge dell’inverso del quadrato (così come nel caso della luce, del suono, della gravità). La formula da applicare è molto semplice: 1/d2 dove dè la distanza dal router o dell’access point WiFi.
Spegnere un router WiFi perché si hanno dubbi sulla sua potenziale pericolosità non ha senso se, ad esempio, non si spengono definitivamente il cellulare o lo smartphone: l’assorbimento di onde elettromagnetiche generate da un hotspot WiFi in un intero anno può essere paragonato ad una chiamata su telefonia mobile di appena 20 minuti.
Qualunque “precauzione” assunta in materia di WiFi, quindi, viene automaticamente annullata con l’utilizzo dei normali cellulari.
Prima di pensare al WiFi bisognerebbe chiedersi quanto possa far male – in proporzione – camminare per ore e ore sotto il sole cocente senza una adeguata protezione. Le radiazioni caratterizzate da una lunghezza d’onda molto contenuta sono infatti le più pericolose e sono dette ionizzanti (ultravioletto, raggi X, raggi gamma).
Ecco quindi che la stessa radiazione solare, giusto per fare un esempio, può tradursi in un reale pericolo, molto più di quanto non lo sia il WiFi.