La privacy al tempo della didattica a distanza

L’ultima nota del Ministero dell’Istruzione, la nr. 388 del 17 marzo 2020, fornisce le prime indicazioni operative per la didattica a distanza, con la quale tutte le scuole si stanno misurando, a causa dell’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese.

La nota, in particolare, si propone di offrire e chiarire alcuni aspetti di natura operativa in relazione agli strumenti adottati dalle istituzioni scolastiche per consentire ai vari operatori coinvolti nella didattica di continuare a lavorare in modalità virtuale.

Com’è noto, la contingenza delle circostanze ha imposto l’adozione di strumenti di didattica a distanza (a ben vedere non del tutto innovativi visto che molte scuole già li utilizzavano per lo svolgimento del normale percorso didattico) che, da un lato, devono garantire la continuità del diritto all’istruzione in un momento così delicato (in caso contrario si potrebbe configurare anche interruzione di pubblico servizio) e, dall’altro, assicurare la conformità alla normativa vigente, per quanto possibile.

Chiariamo subito che l’atto di cui discutiamo è una “nota” ministeriale, operativa in ambito di didattica a distanza. Formalmente non qualificata come “circolare”, pur avendone tutti i contenuti. Se “nota” di certo è solo indicativa, può essere disattesa dagli uffici cui si rivolge, possibilmente con un’adeguata motivazione.

Anche se volessimo definirla “circolare” non muta di fatto la conclusione.

Una circolare ministeriale può avere varie funzioni. La “circolare” (?) di cui discutiamo può essere definita organizzativa, per taluni aspetti anche interpretativa, in ogni caso di certo non può produrre effetti al di fuori dell’Amministrazione emanante e, come da insegnamento delle sentenze Cass. SSUU n. 23031/2007 e Consiglio di Stato n. 7521/2010, può comunque essere disattesa dagli uffici della stessa Amministrazione con un’adeguata motivazione. Ad una circolare non può quindi essere riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna rispetto all’Amministrazione emanante e non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione in quanto essa non può né contenere disposizioni derogative di norme di legge, né essere considerata al pari di una norma regolamentare vera e propria.

In relazione alla questione privacy, la nota in esame chiarisce subito (semmai ce ne fosse bisogno) che le scuole non hanno bisogno di raccogliere il consenso dei genitori o degli alunni maggiorenni per fornire i servizi di didattica a distanza.

Questa è senz’altro uno dei compiti istituzionali della scuola e la modalità diversa di esplicazione – virtuale e non in presenza- non ne inficia la natura.

Fin qui, nulla quaestio, salvo poi specificare (tra parentesi) che il consenso le scuole lo avrebbero dovuto raccogliere a inizio anno scolastico.
Su tale aspetto, occorre ricordare che il 99% delle attività di trattamento delle pubbliche amministrazioni non ha e non può avere come “base giuridica” il consenso, bensì l’esecuzione di compiti di intesse pubblico, l’adempimento a obblighi di legge (come specifica dall’art. 2-ter del D.Lgs. 196/2003 – Codice Privacy) e, semmai vi fosse un trattamento di categorie particolati di dati, i “motivi di interesse pubblico rilevante” (che ne caso specifico è il diritto all’istruzione – art. 2 sexies, comma 2lett. bb del D.Lgs. 196/2003 – Codice Privacy).

A supportare questa osservazione c’è non solo la norma, ed in particolare l’articolo 6 del regolamento UE 2016/679, declinato dai citati articoli del D.Lgs. 196/03 sugli aspetti Italiani, ma anche il considerando 43, che ne illustra la ratio, e l’autorevole linea guida sul consenso pubblicata dal Comitato Europeo per la Protezione dei Dati che recita: “Il considerando 43 indica chiaramente che è improbabile che le autorità pubbliche possano basarsi sul consenso per effettuare il trattamento, poiché quando il titolare del trattamento è un’autorità pubblica sussiste spesso un evidente squilibrio di potere nella relazione tra il titolare del trattamento e l’interessato. In molti di questi casi è inoltre evidente che l’interessato non dispone di alternative realistiche all’accettazione (dei termini) del trattamento. Il Gruppo di lavoro ritiene che esistano altre basi legittime, in linea di principio più appropriate, per il trattamento da parte delle autorità pubbliche”.

Riteniamo quindi pacifico che nessuna delle attività svolte dalla scuola nell’esercizio dei suoi compiti istituzionali di interesse pubblico possano in alcun modo essere assoggettate a consenso, contrariamente a quanto indicato dal MIUR nella nota.

Tratto da OrizzonteScuola
a cui si rimanda per il resto dell’articolo curato dagli esperti:
Avv. Graziano Garrisiavv. Rossella Lozitodott.ssa Chiara Delaini

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